Era una catapecchia più che una abitazione, appena capace di ricoverare qualche coppia di selvaggi, bassa, stretta, col tetto formato di foglie di banano, sovrapposte a strati e le pareti di rami intrecciati grossolanamente. L'unica apertura era la porta, di finestre nessuna traccia. L'interno non valeva certo di più! Non vi si trovavano che un letto di foglie secche, due rozze pentole d'argilla male cotta e due sassi che dovevano servire da focolare.
V'erano però dei viveri in abbondanza, delle frutta di ogni specie e anche un mezzo babirussa di pochi mesi, sospeso al tetto per le gambe posteriori.
— La mia capanna non vale gran cosa, capitano — disse Giro-Batol. — Qui però potete riposarvi a vostro agio senza tema di venire disturbato.
«Perfino gli indigeni dei dintorni ignorano che qui si trova un rifugio. Se volete dormire posso offrirvi questo letto di fresche foglie tagliate questa mattina; se avete sete ho una pentola ripiena di acqua fresca e se avete fame delle frutta e delle deliziose costolette.»
— Non domando di più, mio bravo Giro-Batol — rispose Sandokan. — Non speravo di trovare tanto.
— Concedetemi una mezz'ora per arrostirvi un pezzo di babirussa. Intanto potrete saccheggiare la mia dispensa.
«Ecco qui degli ananassi eccellenti, delle banane profumate, dei pombo succulenti come ne avete mai gustati a Mompracem, delle frutta d'artocarpo d'inverosimile grossezza e dei durion che sono migliori della crema. Tutto è a vostra disposizione.»
— Grazie, Giro-Batol. Ne approfitterò perché sono affamato come una tigre a digiuno da una settimana.
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