— Intanto accenderò il fuoco.
— Non si scorgerà il fumo?
— Oh!... non temete, mio capitano. Gli alberi sono così alti, e così fitti che non lo permetteranno.
Sandokan, che era assai affamato in causa di quelle lunghe marce attraverso la foresta, assalì un cavolo palmista che non pesava meno di venti libre e si mise a sgretolare quella sostanza bianca e dolce che gli rammentava il sapore delle mandorle.
Intanto il malese, accumulato sul focolare dei rami secchi, li accendeva servendosi per fare ciò di due pezzetti di bambù spaccati per metà. È assai curioso il sistema usato dai malesi per procurarsi il fuoco senza aver bisogno di zolfanelli.
Prendono due bambù spaccati e sulla superficie convessa di uno fanno una intaccatura.
Coll'altra si comincia a fregare su quel taglio, adoperando la costa, dapprima lentamente poi sempre più in fretta. Il pulviscolo generato da quello sfregamento a poco a poco si incendia e cade sopra un po' di esca di fibra di gomut. L'operazione è assai facile e rapida e non richiede una speciale abilità.
Giro-Batol mise ad arrostire un bel pezzo di babirussa infilato in una bacchetta verde, sostenuta da due rami forcuti infissi al suolo, poi andò a frugare sotto un mucchio di foglie verdi traendo un vaso il quale esalava un profumo poco promettente, ma che faceva dilatare le narici al selvaggio figlio della foresta malese.
— Cosa mi offri, Giro-Batol? — chiese Sandokan.
— Un piatto delizioso, mio capitano. Sandokan guardò entro il vaso e fece una smorfia.
— Preferisco le costolette di babirussa, amico mio.
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Giro-Batol Sandokan
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