— Andiamo, malese — gli disse. — Il cielo s'è coperto di nubi, quindi è inutile aspettare che la luna tramonti. Vieni subito perché sento che se io dovessi rimanere qui ancora qualche ora di più, rifiuterei di seguirti.
— E voi lascereste Mompracem per quest'isola maledetta?
— Taci Giro-Batol — disse Sandokan quasi con ira. — Dove si trova la tua canoa?...
— A dieci minuti di strada.
— È così vicino adunque il mare?
— Sì, Tigre della Malesia.
— Vi hai messo dei viveri dentro?
— Ho pensato a tutto, capitano. Non mancano né frutta, né acqua, né i remi e nemmeno la vela.
— Partiamo, Giro-Batol.
Il malese prese un pezzo d'arrosto che aveva messo da parte, s'armò d'un nodoso bastone e seguì Sandokan.
— La notte non poteva essere più propizia — disse, guardando il cielo che erasi coperto di nuvoloni. — Prenderemo il largo senza venire scorti.
Attraversata la macchia, Giro-Batol, sostò un momento per ascoltare, poi rassicurato dal profondo silenzio che regnava nella foresta, riprese la marcia piegando verso l'ovest.
L'oscurità era fittissima sotto quei grandi alberi, ma il malese ci vedeva anche di notte forse meglio dei gatti e poi era pratico dei luoghi. Ora strisciando fra le centomila radici che ingombravano il suolo, ora issandosi fra le fitte reti intrecciate dai lunghissimi calamus e dai nepentes ed ora superando dei tronchi colossali caduti forse per decrepitezza, Giro-Batol s'avanzava sempre più nella tenebrosa foresta senza mai deviare. Sandokan cupo, taciturno, lo seguiva da vicino, imitando tutte quelle manovre.
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