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      Se un raggio di luna avesse illuminato il volto del fiero pirata, lo avrebbe mostrato alterato da un intenso dolore.
      A quell'uomo che venti giorni prima avrebbe dato la metà del suo sangue per potersi trovare a Mompracem, ora riusciva immensamente penoso l'abbandonare quell'isola sulla quale lasciava sola, ed indifesa, la donna che amava alla follia.
      Ogni passo che l'avvicinava al mare si ripercuoteva nel suo petto come un colpo di pugnale, e parevagli che la distanza, che lo separava dalla «Perla di Labuan», crescesse di minuto in minuto enormemente.
      Certi momenti egli si arrestava indeciso se dovesse tornare o andare innanzi, ma il malese che si sentiva scottare il terreno sotto i piedi e che sospirava l'istante di imbarcarsi lo decideva a continuare la via facendogli osservare quanto fosse pericoloso il minimo ritardo.
      Camminavano da un mezz'ora, quando Giro-Batol si arrestò improvvisamente, tendendo gli orecchie.
      — Udite questo fragore? — chiese.
      — L'odo: è il mare — rispose Sandokan. — Dov'è la canoa?
      — Qui presso.
      Il malese guidò Sandokan attraverso una fitta cortina di fogliame e passata questa gli mostrò il mare che brontolava, infrangendosi sui banchi dell'isola.
      — Vedete nulla? — chiese.
      — Nulla — rispose Sandokan i cui occhi percorsero rapidamente l'orizzonte.
      — La fortuna è con noi: gli incrociatori dormono ancora.
      Scese la sponda, rimosse i rami di un albero e mostrò un'imbarcazione che si cullava nel fondo di un piccolo seno.
      Era una barcaccia scavata nel tronco di un grosso albero, col fuoco e con la scure, somigliante a quelle che adoperano gli indiani del fiume Amazzoni e i polinesiani del Pacifico.


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Le Tigri di Mompracem
di Emilio Salgari
pagine 343

   





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