Dipinse colla viva passione i cari momenti passati accanto alla donna amata, momenti sublimi, durante i quali più non si ricordava né di Mompracem né dei suoi tigrotti e in cui dimenticava persino di essere la Tigre della Malesia, venendo poi man mano a narrare tutte le avventure che seguirono dopo, ossia dalla caccia alla tigre, alla confessione del suo amore, al tradimento del lord, alla fuga, all'incontro di Giro-Batol e all'imbarco per Mompracem.
— Odimi, Yanez — continuò egli con accento ancora commosso. — Nel momento in cui io mettevo piede nella canoa per abbandonare indifesa quella creatura, ho creduto che mi si lacerasse il cuore. Avrei voluto piuttosto di lasciare quell'isola, subissare la canoa e Giro-Batol; avrei voluto far rientrare il mare nella terra e far sorgere in sua vece un mare di fuoco onde non potessi più valicarlo. In quel momento avrei distrutto senza rimpianti la mia formidabile Mompracem, affondati i miei prahos, dispersi i miei uomini e non avere voluto essere mai stato... la Tigre della Malesia!...
— Ah! Sandokan! — esclamò Yanez, con tono di rimprovero.
— Non rimproverarmi, Yanez! Se tu sapessi cosa io provo qui, in questo cuore che io credevo di ferro, inaccessibile a qualsiasi passione! Odimi: io amo quella donna a tale punto che se ella mi apparisse dinanzi e mi dicesse di rinnegare la mia nazionalità e di farmi inglese... io, la Tigre della Malesia, che giurai odio eterno a quella razza... lo farei senza esitare!... Ho un fuoco indomabile che mi scorre senza posa nelle vene, che mi consuma le carni; mi pare di aver sempre il delirio, e di avere un vulcano in mezzo al cuore; mi pare di diventare pazzo, pazzo!
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