Si arrestò come fosse stato colpito da un nuovo pensiero e ritornò al tavolo prendendo una tazza ricolma.
— Ah! Vedo gli occhi di lei nel fondo — disse egli. — Sempre i suoi occhi, sempre la sua figura, sempre la «Perla di Labuan»!
La vuotò, la riempì ancora e tornò a guardare dentro.
— Delle macchie di sangue! — esclamò. — Chi ha versato del sangue nella mia tazza?. Sangue o liquore, bevi Tigre della Malesia che l'ebbrezza è la felicità.
Il pirata che ormai era ebbro si rimise a bere con nuova foga, ingollando l'ardente liquido come fosse acqua, alternando imprecazioni e suoni di risa.
Si rizzò, ma ricadde sulla sedia lanciando attorno sguardi torvi. Gli pareva di vedere delle ombre correre per la stanza, dei fantasmi che gli mostravano ghignando scuri, kriss e scimitarre insanguinate. In una di quelle ombre credette di ravvisare il suo rivale, il baronetto William.
Si sentì prendere da un impeto di furore e digrignò ferocemente i denti.
— Ti vedo, ti vedo maledetto inglese — urlò. — Ma guai a te se posso afferrarti! «Tu vuoi rubarmi la "Perla", lo leggo nei tuoi occhi, ma io te lo impedirò, verrò a distruggere la tua casa, quella del lord, metterò a ferro e fuoco Labuan, farò scorrere dovunque sangue e vi sterminerò tutti... tutti!... Ah! tu ridi!... Aspetta, aspetta che io venga!...»
Egli era allora giunto al colmo dell'ebbrezza. Si sentì prendere da una smania feroce di distruggere tutto, di tutto rovesciare.
Dopo reiterati sforzi si sollevò, afferrò una scimitarra e sostenendosi a mala pena, appoggiandosi ai muri si mise a menare colpi disperati, ovunque, correndo dietro all'ombra del baronetto che pareva sempre gli sfuggisse, lacerando le tappezzerie, frantumando le bottiglie, avventando tremendi colpi sugli scaffali, sulla tavola, sull'armonium, facendo piovere dai vasi infranti torrenti d'oro, di perle e di diamanti, finché spossato, vinto dall'ebbrezza cadde fra tutte quelle rovine, addormentandosi profondamente.
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