All'indomani il mare era cattivissimo. Lunghe ondate che salivano dal sud, percorrevano quel vasto spazio, cozzandosi le une colle altre con profondi muggiti, facendo vivamente rollare e beccheggiare i tre legni. In cielo, poi, correvano sbrigliatamente immensi nuvoloni, neri come la pece e colle frange tinte di un rosso fuoco.
Alla sera il vento raddoppiò di violenza minacciando di spezzare gli alberi, se non si diminuiva la superficie delle vele.
Qualunque altro navigante, vedendo quel mare e quel cielo, si sarebbe affrettato a poggiare verso la terra più vicina, ma Sandokan, che sapeva ormai di essere a settanta od ottanta miglia da Labuan, e che piuttosto di perdere una sola ora avrebbe perduto volentieri uno dei suoi legni, non lo pensò nemmeno.
— Sandokan — disse Yanez che diventava sempre più inquieto. — Bada che noi corriamo un grave pericolo.
— Di che temi, fratello mio? — chiese la Tigre.
— Temo che l'uragano ci mandi tutti a bere nella grande tazza.
— I nostri legni sono solidi.
— Ma l'uragano mi pare che minacci di diventare tremendo.
— Non lo temo, Yanez. Andiamo innanzi, che Labuan non è lontana. Scorgi gli altri legni?
— Mi pare di vederne uno verso il sud. L'oscurità è così profonda che non ci si vede al di là di cento metri.
— Se ci perdono sapranno ritrovarci.
— Ma possono anche perdersi per sempre, Sandokan.
— Non retrocedo, Yanez.
— Sta' in guardia, fratello.
In quel momento un lampo abbagliante squarciò le tenebre, illuminando il mare fino agli estremi limiti dell'orizzonte, seguito subito da un tuono spaventevole.
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