— No, ma...
— Sa la tua fanciulla che tu sei qui?...
— Non è possibile.
— Bisognerebbe quindi chiamarla.
— Sì.
— Ed i soldati usciranno poiché non si può ammettere che siano sordi e ci prenderanno a colpi di carabina.
Sandokan non rispose.
— Vedi bene, mio povero amico, che questa notte nulla potresti fare.
— Posso arrampicarmi fino alle sue finestre — disse Sandokan.
— E non hai veduto quel soldato imboscato presso l'angolo del padiglione?
— Un soldato?...
— Sì, Sandokan. Guarda: si vede brillare la canna del suo fucile.
— Cosa mi consigli di fare adunque?... Parla!... La febbre mi divora!...
— Sai tu quale parte del parco frequenta la tua fanciulla?
— Tutti i giorni si recava a ricamare nel chiosco cinese.
— Benissimo. Dove si trova?
— È qui vicino.
— Conducimi colà.
— Cosa vuoi fare, Yanez?
— Bisogna avvertirla che noi stiamo qui.
La Tigre della Malesia, quantunque provasse tutte le pene dell'inferno nell'allontanarsi da quel luogo, si cacciò in un viale laterale e condusse Yanez nel chiosco. Era quello un grazioso padiglioncino, dalle pareti traforate e dipinto a vivaci colori e sormontato da una specie di cupola di metallo dorato, irta di punte e di draghi cigolanti.
All'intorno si estendeva un boschetto di lillà e di grandi cespi di rose della Cina esalanti acuti profumi.
Yanez e Sandokan, dopo d'aver armate le carabine, non essendo certi che fosse deserto, v'entrarono. Non vi era nessuno.
Yanez accese uno zolfanello e vide sopra un leggerissimo tavolo lavorato, un cestello contenente dei pizzi e del filo e presso di esso una mandola intarsiata di madreperla.
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