— Non lasciamoci tagliare la strada.
— Le mie gambe sono pronte.
Ripartirono entrambi con ugual lena, tenendosi celati in mezzo agli alberi e giunti alla cinta in due slanci la varcarono lasciandosi cadere dall'altra parte.
— Nessuno? — chiese Sandokan.
— Non si vede anima viva.
— Gettiamoci nel bosco. Faremo perdere loro le nostre tracce.
La foresta non era che a due passi. Entrambi vi si cacciarono dentro, correndo a perdifiato.
Di passo in passo che si allontanavano, la marcia diventava difficilissima. Dappertutto sorgevano fitti cespugli, stretti, incassati fra alberi enormi che lanciavano i loro grossi e nodosi fusti a delle altezze straordinarie e dappertutto strisciavano, intrecciandosi come boa mostruosi, miriadi di radici.
Dall'alto poi scendevano, per poi risalire, aggrappandosi ai tronchi ed ai rami dei grandi vegetali, i calamus, i rotang, i gambir, delle vere reti che resistevano tenacemente a tutti gli sforzi, sfidando perfino le lame dei coltelli, mentre più sotto il piper nigrum dal prezioso granello, formava degli ammassi tali da rendere vano qualsiasi tentativo di passaggio.
A destra, a sinistra, dinanzi e di dietro, si slanciavano in alto durion dai fusti diritti, lucidi, carichi di frutta già quasi mature, proiettili eccessivamente pericolosi essendo rivestiti da punte durissime come se fossero di ferro, o gruppi immensi di banani dalle foglie smisurate, o di betel, o di arenghe saccarifere dalle piume eleganti, o di aranci portanti frutta grosse come la testa di un bambino.
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Sandokan
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