Yanez, che conosceva la tenacia del suo compagno, rinunciò ad un secondo tentativo e si ritirò dietro ad uno dei due cannoni.
L'incrociatore, dopo quelle cannonate quasi infruttuose, aveva sospeso il fuoco. Il suo capitano voleva certamente guadagnare maggior via per non sprecare inutilmente le munizioni.
Per un altro quarto d'ora i due legni continuarono la loro corsa, poi a cinquecento metri il cannoneggiamento venne ripreso con maggior furia. Le palle cadevano numerose attorno al piccolo veliero e non sempre andavano perdute. Qualche proiettile passava sibilando attraverso la velatura, recidendo qualche corda o smussando le estremità dei pennoni e qualche altro veniva a rimbalzare o scrosciava contro le piastre metalliche. Una palla attraversò il ponte, d'infilata, rasentando l'albero maestro. Se fosse passata pochi centimetri più a destra, il veliero sarebbe stato arrestato nella sua corsa.
Sandokan, non ostante quel pericoloso grandinare, non si muoveva. Guardava freddamente la nave nemica che forzava la sua macchina per guadagnare via, e sorrideva ironicamente ogni volta che una palla gli sibilava agli orecchie.
Vi fu un momento però che Yanez lo vide balzare in piedi e curvarsi come se fosse lì per slanciarsi verso il mortaio, ma poi riprese quasi subito il suo posto mormorando:
— Non ancora! Voglio che tu veda mia moglie!
Per altri dieci minuti il piroscafo bombardò il piccolo veliero, il quale non faceva alcuna manovra per sottrarsi a quella grandine di ferro, poi le detonazioni a poco a poco diventarono rade finché cessarono del tutto.
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Yanez
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