— Non pensarlo! Sandokan. Nessuno abbandonerà la Tigre della Malesia e tutti ti seguiranno ove vorrai.
— Lo so, mi amano troppo questi prodi. Lavoriamo, Yanez, rendiamo la nostra rocca se non imprendibile, almeno formidabile.
Raggiunsero i loro uomini che lavoravano con accanimento senza pari, rizzando nuovi terrapieni e nuove trincee, piantando enormi palizzate che guarnivano di spingarde, accumulando immense piramidi di palle e di granate, riparando le artiglierie con barricate di tronchi d'albero, di macigni e di lastre di ferro strappate ai navigli saccheggiati nelle loro numerose scorrerie. Alla sera la rocca presentava un aspetto imponente e poteva dirsi inespugnabile.
Quei centocinquanta uomini, poiché a così pochi erano ridotti dall'attacco della squadra e dalla perdita di due equipaggi, che avevano seguito Sandokan a Labuan, e dei quali non si aveva avuto nessuna nuova, avevano lavorato come cinquecento.
Calata la notte Sandokan fece imbarcare le sue ricchezze su di un grande praho e lo mandò assieme ad altri due, sulle coste occidentali onde prendere il largo se la fuga fosse diventata necessaria.
Alla mezzanotte Yanez, coi capi e tutte le bande, saliva alla gran capanna dove lo aspettava Sandokan.
Una sala, ampia tanto da contenere duecento e più persone, era stata arredata con lusso insolito. Grandi lampade dorate versavano torrenti di luce facendo scintillare l'oro e l'argento degli arazzi e dei tappeti e la madreperla che adornava i ricchi mobili di stile indiano.
Sandokan aveva indossato il costume di gala, di raso rosso e il turbante verde adorno di un pennacchio tempestato di brillanti.
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