Ed era proprio vero. La squadra assalitrice si componeva di tre incrociatori di grande tonnellaggio, portanti bandiera inglese, di due corvette olandesi potentemente armate, di quattro cannoniere e d'un cutter spagnoli, e di otto prahos del sultano di Varauni. Potevano disporre tutti assieme di centocinquanta o centosessanta cannoni e di millecinquecento uomini.
— Sono molti per Giove! — esclamò Yanez. — Ma noi siamo valorosi e la nostra rocca è forte.
— Vincerai, Sandokan? — chiese Marianna con voce che tremava.
— Speriamo, amor mio — rispose il pirata. — I miei uomini sono audaci.
— Ho paura, Sandokan.
— Di che cosa?
— Che una palla ti uccida.
— Il mio buon genio che per tanti anni mi protesse non mi abbandonerà oggi che pugno per te. Vieni Marianna, che i minuti sono preziosi.
Scesero la gradinata e si recarono al villaggio, dove i pirati avevano già preso posto dietro ai cannoni, pronti a impegnare con gran coraggio la titanica lotta. Duecento indigeni, uomini che sapevano se non resistere ad un urto, almeno trarre archibugiate e anche cannonate, manovra che avevano appreso con facilità sotto i loro maestri, erano già giunti e si erano disposti nei punti assegnati dai capi della pirateria.
— Buono — disse Yanez. — Saremo in trecentocinquanta a sostenere l'urto. Sandokan chiamò sei dei più valorosi uomini e affidò loro Marianna, onde la internassero nei boschi per non esporla al pericolo.
— Va', mia diletta — diss'egli stringendosela al cuore. — Se io vinco tu sarai ancora la Regina di Mompracem e se la fatalità mi farà perdere, spiccheremo il volo e andremo a cercare la felicità su altre terre.
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