... Ad un tratto s'arrestò udendo una voce a gridare:
— La Tigre della Malesia!... È vivo ancora il capitano? Sandokan si guardò intorno.
Una lanterna sospesa ad una punta, illuminava scarsamente il frapponte, però quella luce era sufficiente per poter distinguere una persona. Dapprima Sandokan non vide altro che delle botti, ma poi, guardando meglio, scorse una forma umana accovacciata presso lo scassero dell'albero maestro.
— Chi siete voi? — gridò.
— Chi parla della Tigre della Malesia? — domandò invece la voce di prima. Sandokan trasalì, poi un lampo di gioia gli balenò negli sguardi. Quell'accento non gli era ignoto.
— V'è uno dei miei uomini qui? — chiese. — Juioko forse?
— Juioko!... Mi si conosce adunque? Allora non sono morto!...
L'uomo si alzò scuotendo lugubremente delle catene e si fece innanzi.
— Juioko!... — esclamò Sandokan.
— Il capitano! — esclamò l'altro.
Poi slanciandosi innanzi, cade ai piedi della Tigre della Malesia, ripetendo:
— Il capitano!... Il mio capitano!... Ed io l'avevo pianto come morto!...
Quel nuovo prigioniero era il comandante del terzo praho, un valoroso dayako che godeva fama grandissima fra le bande di Mompracem pel suo valore e per la sua abilità marinaresca.
Era un uomo di statura alta, bene proporzionato, come lo sono in generale i bornesi dell'interno, dagli occhi grandi ed intelligenti e la pelle giallo-dorata. Come i suoi compatrioti portava i capelli lunghi ed aveva le braccia e le gambe adorne d'un gran numero di anelli di rame e di ottone. Il brav'uomo, vedendosi dinanzi la Tigre della Malesia, piangeva e rideva ad un tempo.
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