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      Superati poi col valore i pericoli, ajutavano gli alleati e gli amici; cui, più donando che ricevendo, si guadagnavano. Il loro capo chiamavano Re: ma legittimo era il suo impero. Presceglievan essi a trattare i pubblici affari i vecchi di robusto senno; e alla età loro, o alle paterne lor cure alludendo, Padri appellavanli. I Re, da principio custodi della libertà, e promotori della repubblica, fattisi dappoi superbi e tiranni, Roma cangiò di governo; ed ogni anno due capi si elesse: stimando in tal guisa frenar la licenza, per cui si suole insolentire chi regge.
     
     
      VII.
     
      Allora ben tosto innalzaronsi gli animi, si assottigliaron gl'ingegni. Che ai Re, non insospettiti mai de' cattivi quanto dei buoni, l'altrui virtù si fa sempre terribile. Maraviglia a narrarsi, quanto Roma, ottenuta la libertà, in breve crescesse: cotanto era invasa dalla brama di gloria. La gioventù, appena dell'armi capace, colle fatiche e l'esercizio addottrinando si andava nel campo: nè di banchetti e dissolutezze dilettavasi, ma di lucide armi e di cavalli guerrieri. Quindi a sì maschi animi nessuna fatica era insolita, nessun luogo riusciva aspro nè scabro, nessun nemico tremendo: ogni cosa avea doma il valore. Ma immensa fra essi di gloria la gara. Ciascuno, ferire il nemico, le mura assalire, e da tutti essere in tal atto osservato studiavasi; ciò ricchezza, ciò fama, ciò somma nobiltà riputando. Di lode assetati, larghi del danaro, massima voleano la gloria, discrete le facoltà. Rimembrerei, dove pochi Romani sconfiggessero numerosissime torme nemiche; quali città per natura fortissime espugnassero: ma ciò dal proposito mio troppo svierebbemi.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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