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      Scagliando inoltre invettive assai contro i buoni, ad uno ad uno i suoi encomiava: a questo esponeva la propria povertà; a quello la propria cupidigia; i pericoli e l'ignominia ad alcuni; le vittorie di Silla e il bottino a molti altri. Vistili poi tutti animosi, esortatili ad avere queste sue parole a petto, l'adunanza ei disciolse.
     
     
      XXII.
     
      Dissero alcuni, che Catilina dopo l'arringa li costringesse a giurare con orribili imprecazioni, delibando, come usa nei riti sacri, una tazza; ma piena di sangue umano misto con vino: e che dopo svelasse loro il suo inganno; adducendone per ragione, che consapevoli essi l'un l'altro di una sì orrenda empietà, tanto più fidi fra lor rimarrebbero. Molti, e queste e più altre cose stimarono inventate da coloro, che con l'accrescere l'atrocità del delitto dei giustiziati, credettero scemare l'odio in cui era incorso Cicerone dacchè condannati gli ebbe. Io tali cose, benchè importanti, non le potei chiarir mai.
     
     
      XXIII.
     
      Era tra i congiurati un Quinto Curio, nobil uomo, di delitti e d'infamia coperto, e pe' suoi molti obbrobrj dai Censori già espulso fuor del Senato. Costui non meno leggieri che audace, nè le altrui cose tacea, nè le sue proprie scelleraggini; nulla più al dire che al fare badando. Da molto tempo disonestamente usava egli con Fulvia, nobil Donna; da cui vedendosi meno gradito perchè meno donarle poteva, cominciò ad un tratto a vantarsi di darle mezzo mondo; quindi a minacciarla coll'armi, se ella venisse a tradirlo; e a vieppiù in somma inferocire ogni giorno.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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