XLII.
Eransi mossi frattanto varj romori di guerra nella Gallia citeriore e ulteriore, nei Piceni, Abbruzzj, e Pugliesi, dagli emissarj di Catilina, i quali colą sconsigliatamente e quasi mentecatti procedeano: adunanze notturne, armi qua e lą trasportate; solleciti moti; ogni cosa sossopra: il che pił timore arrecava che danno. Quinto Metello Celere, Pretore, e Cajo Murena, Legato nella Gallia citeriore, molti di costoro chiariti rei v'avevano catturati.
XLIII.
Lentulo e gli altri capi della congiura in Roma rimasti, preparate a parer loro bastanti forze, stabilirono che al giungere di Catilina nel campo di Fiesole con l'esercito, Lucio Bestia Tribuno della plebe la arringherebbe nel Foro dolendosi di Cicerone, e dando carico di sģ funesta guerra a quell'ottimo Console. Quest'arringa era il cenno, onde nella seguente notte ciascuno dei tanti congiurati eseguisse il misfatto addossatosi. E cosģ dicevansi distribuiti; che Statilio e Gabinio con forte partito appiccherebbero fuoco in dodici diversi luoghi di Roma; tumulto, che agevolerebbe loro l'accesso al Console e ad ogni altro insidiato: che Cetego assalirebbe e sforzerebbe la casa di Cicerone; altri altre: che i figli di famiglia, nobili i pił, truciderebbero essi i loro padri: e che fra l'uccisioni gl'incendj e l'universale terrore si scaglierebbero tutti ad un tratto nell'esercito di Catilina. Fra questi apparecchj e risoluzioni doleasi pur Cetego sempre della tardezza dei compagni, che dubitando e indugiando le migliori occasioni guastavano: in tanto pericolo, dicea, non abbisognare parole, ma fatti; e che egli, se pochi lo secondassero, mentre stavansi i pił, assalito avrebbe il Senato.
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