Catone volea, più che parerlo, esser buono: tanta più gloria otteneva così, quanta egli men ne cercava.
LV.
Assentito ch'ebbe, come dissi, il Senato a Catone, giudicò il Console doversi nella prossima notte antivenire ogni novità, col supplizio de' rei. Fatta perciò apprestare l'esecuzione dai capitali Triumviri, e disposte le forze, conduce egli stesso nel carcere Lentulo, e vi fa gli altri condur dai Pretori. Havvi, nel carcere chiamato Tulliano, un luogo circa dodici piedi sotterra: in esso, per un lieve pendio, da mano manca all'entrata si scende. Le pareti dintorno, e la volta di quadrate squallide pietre, terribile ne fanno l'aspetto e bujo e fetente. Lentulo, ivi entro calato, dai già preposti carnefici strozzato era tosto. Così quel patrizio della nobile stirpe Cornelia, stato Console in Roma, fine de' suoi costumi e misfatti ben degno trovava. Cetego, Statilio, Gabinio, e Cepario, ebbero lo stesso supplizio.
LVI.
Catilina frattanto, della gente seco condotta, e di quella presso Manlio trovata, formava due legioni; e nelle coorti inserendo quanti volontarj ed ajuti venivano al campo, era in breve spazio venuto a compir le legioni, benchè da principio soli due mila uomini avesse. Ma di tutta la gente sua, circa la quarta parte soltanto erano armati a dovere; gli altri l'erano a caso, chi di ronche, chi di lance, chi di acutissime pertiche. Pure appressandosi Antonio col Romano esercito, Catilina per gli Appennini, or verso Roma, or verso la Gallia movendosi, non dava al Console opportunità di combatterlo.
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