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      Sperava egli di avere in breve gran forze, ove i di lui compagni riuscissero in Roma l'impresa. Rifiutava intanto gli schiavi, di cui concorreagli gran copia da prima: fidandosi egli nella possente congiura, e contrario parendogli a' suoi interessi il confonder la causa dei cittadini con quella dei fuggitivi schiavi.
     
     
      LVII.
     
      Ma, giunta nel di lui campo la nuova della congiura scoperta in Roma, e di Lentulo, Cetego, e gli altri colà giustiziati; molti, cui la sola speranza di preda o di novità indotti avea a tal guerra, cominciarono a spicciolarsi. Catilina, per aspri monti, a gran giornate nel campo di Pistoja condusse tutti quelli che potè ritenere; pensando per occulti sentieri potersi di là trafugar nella Gallia cisalpina. Ma Quinto Metello Celere con tre legioni occupava il campo Piceno; e dalle strettezze di Catilina argomentando i di lui disegni, saputo dai disertori la via ch'egli terrebbe, mosse prontamente il suo esercito, e al piè di quei monti, donde Catilina dovea sboccar nella Gallia, accampossi. Nè Antonio era molto lontano da Catilina; mentre con poderosa oste inseguivalo per vie meno scoscese di quelle che Catilina fuggitivo teneva. Ma questi, vedendosi rinchiuso tra i monti e i nemici; vedendo uscir vana in Roma ogni impresa, e niuna speranza rimaner di soccorso nè di fuga; in tale stato stimò migliore il partito di tentar la fortuna dell'armi. Fermo perciò di combattere quanto prima con Antonio, a' suoi radunati nel seguente modo parlava.
     
     
      LVIII.
     
      Che le parole non accrescono ai forti coraggio, mi è noto, o soldati: nè, per arringare di Duce, un fiacco esercito imbelle diventò prode mai nè possente.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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