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      Ma, liberata di codesta gente poi l'Affrica, lieta pace da noi si godeva, niuno inimico restandoci, se non ci comandava Roma di assumerne. Quando ecco all'improvviso Giugurta, temerario superbo e scelleratissimo, il mio, il di lui fratel trucidato, in guiderdone del commesso delitto il regno egli ne occupa. Di me non potendo egli poscia trionfar con la frode, e dovendomi io perciò aspettare la violenza o la guerra, costretto mi veggo di ricovrarmi fra voi; di mostrarvi un Re spogliato di patria, di casa, di tutto; un misero Re, che in ogni parte più vive sicuro che nel suo proprio regno. Io vedeva, e più volte anche dal mio genitore l'udiva, che l'amicizia vostra, o Padri Coscritti, ai fedeli alleati costava somme fatiche; ma che sicurezza grandissima a lor procacciava. Sempre, per quanto il potemmo; a favor vostro abbiam noi guerreggiato: il renderci dunque nella pace sicuri, sta in voi. Due figli lasciava il mio padre; Giugurta, come terzo, per atto di beneficenza, aggiungendoci. E da quello stesso Giugurta l'un fratello era ucciso; io, che son l'altro, a gran pena dall'empie di lui mani scampava. Che debbo ormai farmi? dove, infelice, ricorrere, trovandomi meno ogni domestico ajuto? Cessato il padre; iniquamente il fratello svenato da chi meno temere ei dovea; de' miei parenti, e amici, e congiunti, di quanti in somma negli artigli di Giugurt
      a cadevano, di tutti fatto sanguinoso macello; chi su la croce spirato, chi preda gittato alle fiere, chi per supplizio maggiore in orribili e squallide carceri a vita più rea d'ogni morte serbato.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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