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      L'infelice mio stato mi vieta di scriver più a lungo contro Giugurta; omai per prova sapendo, che ai miseri lieve fede si presta. Mi avveggo bensì, che a Giugurta il rendersi a me pari in potenza non basta: e ciascuno apertamente vede oramai, che egli, fra l'ottenere o l'amicizia vostra o il mio regno, non esita. Egli da prima il mio fratello Jemsale trucidò, me quindi espulse dal trono paterno. E voglio, che tali ingiurie tutte sian nostre, ed a voi nulla spettino. Ma Giugurta invade ora un regno, ch'è vostro; me, da voi scelto a regnar su i Numidi, egli assedia: e in qual conto egli tenga dei vostri ambasciatori i comandi, ampiamente lo attestano i miei non cessanti pericoli. Che altro varrà a rimoverlo omai, se non vale di Roma la forza? Di quanto ora scrivo, e di quanto già mi querelai io stesso in Senato, bramerei anzi io di mentire che non d'accertarvene con le mie tante miserie. Ma, nato per mia sventura bersaglio alle scellerate mire di Giugurta, io già da voi non imploro che dalle infelicità mi scampiate e da morte; dal nemico imperio bensì, e dai martirj. Alla Numidia ben vostra, come più aggradavi, provvedete; me da quell'empie mani sottraete; per la memoria dell'avo Massinissa ven prego; e, se nulla val questa appo voi, per l'amichevole nostra reciproca fede, per la maestà del Romano impero, ven prego."
     
     
      XXV.
     
      Cotai lettere udite, alcuni Senatori opinavano doversi immediatamente soccorrere Aderbale, inviando un potente esercito in Affrica; e doversi Giugurta punire per aver disobbedito ai Legati.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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