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      Nè basta a codesti superbi de' passati misfatti la impunità, se per l'avvenire il poter non si usurpano di rinnuovarli: nè voi in pace vi rimarrete giammai, vedendovi od al servire costretti, od al combattere per conservar libertà. Qual fede oramai, qual più concordia sperate? Signoreggiar voglion essi; voi, liberi vivere; essi oltraggiare, voi non soffrire: e voglion nemici perfino reputar gli alleati, ed alleati i nemici. Che più? fra dispareri cotanti, puossi in appresso mai pace, puossi amicizia, sperare? Io vi consiglio perciò di non lasciare impunite le scelleraggini loro. Nè oggi dell'erario spogliato, nè delle ricchezze agli amici stessi predate si tratta; cose in vero gravissime, eppure, stante la pessima assuefazione, un nulla oramai reputate. Ma, l'autorità del Senato ad un acerbissimo nemico di Roma vendutasi; l'imperio vostro tradito; fattosi in casa ed in campo della intera Repubblica traffico: son questi i delitti, che non ricercati e impuniti, niun altro partito a noi lasciano se non se di obbedire alla scelleratezza di chi commettevali. Che il commettere con impunità ogni eccesso, quest'è l'esser Re veramente. Ma io non vi esorto, o Quiriti, a malignamente allegrarvi delle colpe dei cittadini vostri; vi dico bensì, che perdonando ai cattivi, corromperete anco i buoni. Ed aggiungovi, che nelle pubbliche cose, più delle colpe che dei benefizj convien ricordarsi. I buoni, negletti, possono, è vero, divenire al ben oprare più tardi; ma pessimi, i rei. Là dove, in somma, non vi sarà chi mal faccia, rade volte in pericolo starà la Repubblica.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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