Onde Memmio, più alla maestà di Roma che al popolare sdegno mirando, di placarlo e di raddolcirlo ingegnavasi, affermando che mai non infrangerebbe egli la pubblica fede. Fatto finalmente silenzio, comparve Giugurta. Memmio gli disse: "Roma e la Numidia essere testimonj de' di lui delitti: nell'una trucidati il padre e i fratelli; comprati nell'altra i ministri e sostegni alle sue crudeltà: al popolo Romano il tutto esser noto. Nondimeno, poterlo egli stesso più manifestamente chiarir d'ogni cosa. Ove con ischiettezza favelli, speri egli non poco nella fede e clemenza del popol Romano; ove al tacere si ostini; pensi che senza salvare i suoi complici, le sue proprie speranze rovinerà con se stesso."
XXXIV.
Taciutosi Memmio, fu intimato a Giugurta di rispondere. Ma quel Cajo Bebbio Tribuno, che come accennai, venduto gli s'era, gl'intimò di tacere. E benchè la spettatrice turba ferocemente infiammata, con torvi sguardi e schiamazzi e tumultuosi ondeggiamenti ed altri patenti terribili indizj di sdegno, il Re minacciasse, vinse nondimeno la impudenza di Bebbio. Onde il popolo sbeffato abbandonò il Foro. Giugurta perciò, e Calpurnio, ed i rimanenti in quella causa intricati, maggiormente s'inanimirono.
XXXV.
Trovavasi allora in Roma un Numida chiamato Massiva, di Gulussa figlio, di Massinissa nipote. Questi, per essere stato nelle guerre civili contrario a Giugurta; arresasi Cirta, e ucciso Aderbale, sottratto dall'Affrica s'era. Spurio Albino, Console eletto con Quinto Minucio Rufo per poi succedere a Calpurnio, venne persuadendo a Massiva di prevalersi de' suoi natali, d'incalzare la reità di Giugurta facendolo abborrire dal pubblico e tremar per se stesso; e di chiedere inoltre al Senato il trono della Numidia per se.
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