Dicesi, che giunto fuori di Roma, più volte indietro a mirarla tacitamente rivoltosi, prorompesse finalmente in tal grido: "O venalissima città, ben sarebbe la tua distruzione matura, ove il comprator tu trovassi."
XXXVI.
Rinnovatasi in tal modo la guerra, Albino sollecitamente naviga verso l'Affrica con armi, e danari, e vettovaglie, e quanto a soldati abbisognasi. Sperava egli prima de' comizj, che già si appressavano, o coll'armi od a patti o comunque, dar fine alla guerra. Giugurta all'incontro, tempo a tempo aggiungeva, protraendo, pretestando, indugiando: or prometteva di arrendersi, or fingea diffidenza; incalzato, parea voler cedere; ottenuto appena respiro, per ridestare fiducia ne' suoi, incalzava egli stesso i Romani: così nè pace nè guerra facendo col Console, a bada pur lo teneva. Fu chi stimò, essere Albino d'accordo col Re; parendo egli, più per malizia che per lentezza, protrarre una guerra sì caldamente da esso intrapresa. Appressavansi fra questi indugj i comizj: onde Albino, lasciato Vicepretore nel campo Aulo di lui fratello, andossene in Roma.
XXXVII.
In orribile scompiglio trovavasi allora la città, pe' sediziosi Tribuni. Due d'essi, Publio Lucullo, e Lucio Annio, malgrado i colleghi, volevano a forza rimanere nel Tribunato: dissensione, che da un anno impediva i comizj. Aulo, rimasto, come dissi, Vice-pretore in Numidia, sperò in questo frattempo o di far fine alla guerra, o coll'atterrire Giugurta coll'armi, di estrarne danari. Perciò, di Gennajo, trae da' quartieri d'inverno i soldati; quindi, con larghi giri a cagione dei guasti cammini, previene con l'esercito a Sutul, borgo in cui custodivasi il regio tesoro.
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