E delle maggiori città fu spesso ciò la rovina, ogniqualvolta i cittadini volendo ad ogni costo soggiogarsi l'un l'altro, incrudelirono poscia coi vinti. Ma se minutamente, secondo l'importanza del fatto, io volessi discorrere dell'animosità delle parti, e di tutti i costumi di Roma, il tempo, anzi che le parole, verrebbemi meno. Perciò al soggetto ritorno.
XLIII.
Dopo la pace d'Aulo, e la turpe fuga del nostro esercito, Quinto Metello e Marco Silano Consoli eletti, essendosi ripartite le provincie, toccata era la Numidia a Metello, prod'uomo, e benchè non fautore del popolo, di fama nondimeno incorrotta appo tutti. Questi, appena entrato in dignità, alla guerra, incarico solo ch'egli non dividea col collega, l'animo intero rivolse. Quindi a ragion diffidando del vecchio esercito, davasi ad arruolar nuova gente; a raccogliere ajuti da ogni parte; armi, saette, cavalli, ed ogni bellico stromento apprestare; e vettovaglie ampiamente; e quanto in somma abbisogna in guerra varia e lontana. Concorrevano a gara nei di lui disegni, l'autorità del Senato, gli alleati, e i Latini, gli esteri Re, e Roma tutta; sforzandosi di contribuire volontariamente con quanti ajuti potevano. Ogni cosa dunque a suo piacere allestita, partivasi il Console per la Numidia: sperando i cittadini moltissimo sì nel sapere che nel di lui incorruttibile animo; virtù, agli avari suoi antecessori ignota del tutto; e quindi nella Numidia le forze nostre affievolite si erano, e le nemiche accresciutesi.
XLIV.
Giunio Metello nell'Affrica, da Spurio Albino proconsole gli viene consegnato l'esercito; imbelle, infingardo, inetto a fatiche e pericoli; in parole, più assai che in fatti, valente; degli alleati predatore, de' nimici preda egli stesso; indisciplinato e sfacciato.
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