LII.
In tal guisa due sommi capitani, eguali in virtł non in forze, tra lor gareggiavano. Aveva Metello migliori i soldati, ma svantaggioso il terreno: a Giugurta null'altro che agguerrita gente mancava. Vedendo i Romani, che nč essi fuggire potevano, nč voleano i nemici combattere, essendo gią quasi sera, a tenor del comando s'impadroniscono della sommitą del colle. Allora i Numidi, perduta l'altezza, son rotti e fugati. Pochi vi periscono, salvatisi i pił per la velocitą dei cavalli, e per essere ai Romani mal noto il paese. Bomilcare intanto, che, come dissi, era stato da Giugurta preposto agli elefanti ed a gran parte delle fanterie, vedutosi oltrepassare da Rutilio, a poco a poco egli pure nel piano scendeva: e mentre il luogotenente si affretta verso il fiume dov'era da Metello premesso, Bomilcare tacitamente, come richiedeasi, schiera le sue genti, con diligenza spiando ogni andamento de' Romani. Saputo poi, che Rutilio con tutta pace accampavasi; ed udendo egli raddoppiare le grida di donde Metello combattea con Giugurta; temč che Rutilio informato del pericolo de' suoi non si accingesse a soccorrerli. Per impedirgli il passo da prima aveva Bomilcare in ristrette file ordinato il suo esercito, nel cui valore poco fidava: ma allora, riallargate le schiere, contro il campo di Rutilio s'inoltra.
LIII.
I Romani veggono all'improvviso alzarsi un grandissimo polverio; e da prima, pe' molti arboscelli, non discoprendone la cagione, lo credettero un turbine di vento: ma poi vedendolo durare e veleggiare ordinatamente contr'essi, accortisi di un progrediente esercito, si affrettano all'armi, e davanti al vallo; come impon loro Rutilio, si schierano.
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