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      Faceva intanto esplorare da' disertori e da altri, dove fosse Giugurta; qual disegno s'avesse; se pochi soldati serbasse, o un esercito; e se in somma si tenesse per vinto. Erasi egli ricovrato in luoghi boscosi e scoscesi; e quivi stava adunando un esercito numerosissimo, ma di rozza gente, non agguerrita, e più atta alla marra che all'armi. A ciò riducevalo l'usanza de' Numidi, che nella fuga tutti abbandonano il Re, fuorchè le guardie reali; gli altri, ciascuno a sua voglia, si sbandano; il che a militare infamia fra lor non si ascrive. Poichè Metello vide il Re ostinarsi, benchè sconfitto, alla guerra; e che maneggiarla era forza ad arbitrio di lui; ed inoltre, che non era vantaggio il combatterlo, maggior danno ai vincitori che ai vinti tornandone; non più con battaglie o scaramucce, ma in altro modo oramai stabilì di condur quella guerra. Egli pertanto trascorre i più ricchi luoghi della Numidia, guastando e predando; molte castella e borghi in fretta fortificati o di truppe sguarniti, pigliando e incendiando; uccidendo i fanciulli, e tutto abbandonando alla militar cupidigia. Tanto era quindi il terror fra i Numidi, che ostaggi, vettovaglie, e quanto bisognava a Metello, ciascuno affrettavasi di recargli in gran copia. Egli, là dove occorreva, presidj lasciava. Queste spedizioni sgomentavano Giugurta assai più che le perdute battaglie: come quegli che, uso a riporre la salvezza sua nel farsi inseguire, costretto or vedevasi ad inseguire egli stesso: e non avendo potuto difendere i posti opportuni, doveva negli svantaggiosi combattere.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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