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      Grida ai Siccesi ad un tempo: "D'investir le coorti alle spalle: la fortuna a sì chiara impresa mostrarsi propizia: ove ciò loro riesca, conserverà egli il regno, essi libertà e sicurezza, per sempre." E se Mario in massima fretta, spingendo innanzi le insegne, coi suoi non scagliavasi fuor delle porte, forse i Siccesi tutti, od i più, di bel nuovo cangiavan signore: volubili tanto i Numidi. Ma i soldati di Giugurta, alquanto da lui spalleggiati, vedendosi pure da eccedenti forze incalzare, con perdita di pochi sen fuggono.
     
     
      LVII.
     
      Pervenne Mario a Zama. Questa città giace in piano; più fortificata dall'arte che dalla natura; e ben provveduta allora d'armi, di gente, e di ogni cosa opportuna. Metello dunque, secondo le circostanze ed il luogo, apparecchiatosi ad assalirla, cinge per ogni intorno d'armati le mura; ai luogotenenti assegnando i lor posti, su cui vegliasse ciascuno. Dato quindi il segno, clamorosissime grida per ogni parte s'innalzano a un tratto. Non s'inviliscono perciò gli assediati, ma in buon ordine, intrepidi la fronte mostrando, incominciasi la battaglia. I Romani, ciascuno secondo ch'ei vale, a frombolar da lontano, a fuggire, a sottentrarsi l'un l'altro si danno: chi le radici scava del muro, chi con le scale lo investe: di venirne strettamente alle mani avvampano tutti. In lor difesa i Numidi su i più vicini rotolano sassi; contro ai lontani scagliano e pali, e lanciotti, e fiaccole di zolfo e di pece infiammate. Onde neppure ai fuggiti bastante scudo riusciva il timore, feriti molti trovandosi dai ferri con mano o con macchine a loro avventati.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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