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      Quindi, quasi a titolo di amicizia, ammonivalo: "Di non attendere a sì stravagante pensiero; di non estoller l'animo oltre alla propria fortuna: non tutto doversi da tutti bramare; nè potersi egli dolere del suo stato: badasse in somma a non richiedere al popolo cosa, che giustamente negata verrebbegli." Vedendo poi, che un tal parlare non rimovealo dal proposito; soggiunsegli: "Che appena il permetterebbero i pubblici affari, adempirebbe egli tosto il di lui desiderio." Ma, reiterando Mario più volte l'istanza, dicesi che Metello gli rispondesse: "Di non si affrettare; che assai in tempo partirebbesi poi con il figlio di lui Metello, il quale parimente in Roma portavasi per sollecitarvi il Consolato." Era questo suo figlio un giovine di circa venti anni, discepolo militare del padre. Maggiormente a cotal risposta inacerbitosi Mario contro Metello, vieppiù sempre della bramata dignità s'infiammava. Ambizione e dispetto fattisi quindi consiglieri dell'opere sue, abbracciare ogni pessimo mezzo gli fecero, purchè a' suoi fini il guidasse. Ai soldati, che sotto i suoi comandi svernavano, rallentando va egli stesso la disciplina: appo i molti Romani mercatanti in Utica si dà ad incolpare Metello, ed a prometter di se medesimo alte cose in tal guerra; "ch'egli; con la metà dell'esercito, in pochi giorni avrebbe dato Giugurta in catene; Metello a bella posta protrarre la guerra; perchè troppo gode quell'uomo vanitoso e superbo, di esercitar regio impero." Tanto più veri pareano tai detti a que' mercatanti, che per la lunga guerra s'impoverivano, quanto più insopportabile riesce ogni indugio a chi ardentemente desidera.


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C. Crispo Sallustio tradotto da Vittorio Alfieri
di Gaius Sallustius Crispus
1807 pagine 161

   





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