LXVII.
All'improvviso assalto, i Romani soldati intimoriti ed incerti, non sanno che farsi: verso le bandiere correvano alla rocca, ver l'armi e gli scudi; ma una guardia di cittadini e le porte anticipatamente già chiuse, tale scampo lor vietano. Le donne intanto e i fanciulli dai tetti, con sassi e con quanto alle lor mani occorreva, oppressavanli a gara. Valorosissima gente in tal guisa nè sottrarsi poteva al pericolo, nè a vilissima genía resistere, esperti ed inetti, prodi e codardi, invendicati tutti, del pari erano trucidati. Infra tant'aspro macello inferociti al sommo i Numidi, e chiusa per ogni parte la terra, il solo Turpilio, di quanti Romani ivi fossero, illeso scampava: se per misericordia de' nemici, o in prezzo del tradimento, o per caso, nol seppi: ben so, che malvagio esecrabil uomo può riputarsi colui, che nell'universal disastro più dell'intatta sua fama una obbrobriosa vita apprezzava.
LXVIII.
Dell'atrocissimo caso informato Metello, mestamente ritrassi per alcun tempo in disparte: dall'ira quindi spronato e dal duolo, con sollecitudine molta al farne vendetta si accinge. Al tramontar del Sole trae da' quartieri la legione che sotto i suoi comandi svernava; inoltre, dei cavalli Numidi, quanti può averne in pronto; armati tutti alla leggiera; e il giorno dopo giunge su la terza in un piano attorniato tutto da piccole alture. Quivi i soldati, rifiniti dalla sterminata marcia, ricusando di proseguirla, Metello dice loro; non essere lontana la città più d'un miglio; dovrebbero essi con forte animo sopportare quell'avanzo di fatica per vendicare i loro compagni, non men che prodi, infelici: colla speranza della preda oltre ciò li lusinga.
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