Ridestati in tal modo i lor animi, il Console impone, che i cavalli in prima fila, ed i fanti strettissimamente fra loro ordinati s'inoltrino, con le bandiere nascoste.
LXIX.
Sentendo i Vaccesi che si avvicina un esercito, credutolo, com'era di fatti, quel di Metello, le porte chiudevano. Ma, non vedendo poi devastazione alcuna di campi, e la fronte esser tutta di Numidi cavalli, stimatili di Giugurta, molto festivi se n'escono ad incontrarlo. Ed ecco, repentinamente dato il segno, cavalli e fanti avventarsi, gli uni addosso allo stuolo uscito della cittŕ, gli altri di tutto corso verso le porte; e molti ad impadronirsi delle torri: l'ira e la cupidigia di preda potendo piů in essi che la stanchezza. Cosě quella cittŕ, due soli giorni della sua perfidia allegratasi, ricca e grande poc'anzi, ampiamente il fio ne pagava il dě terzo, coll'oro e col sangue. Turpilio governatore di Vacca, che solo (come dissi) scampava dall'universale strage, sforzato poi da Metello a scolparsi, poco e male rispondea: condannato perciň (essendo egli cittadino soltanto del Lazio) ad essere vergheggiato e decapitato.
LXX.
In quel frattempo Bomilcare, pel cui consiglio Giugurta erasi indotto ai patti da lui per diffidenza poi rotti; vedendosi egli sospettato dal Re, e del Re sospettando, nuovi mezzi ed inganni per rovinarlo tentava. Da tal pensiero dě e notte travagliato Bomilcare, incerto dove appigliarsi, compagno al macchinare si elegge Nabdálsa, nobil uomo, opulente, gradito dal popolo, e giŕ molte volte a guidar grosse squadre e ad eseguire ogni impresa trascelto dallo stesso Giugurta, qualora egli stanco trovavasi o da piů gravi cure impedito: dal che non meno vantaggio che gloria ridondato n'era a Nabdálsa.
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