Riscrisse a Bocco Metello, e quegli a questo; trattando, e concedendo a vicenda e negando. Fra questi messaggi innanzi e indietro mandati, scorrevano i giorni, e veniva Metello nel propostosi intento, di non più combattere.
LXXXIV.
Ma intanto Mario, ottenuto ch'ebbe dal popolar entusiasmo il Consolato e la Numidia, di nemico che prima egli era dei nobili, erane il feroce oppressor divenuto; ora ripartitamente, or tutti in corpo oltraggiandoli; spargendo, "essere il suo Consolato a lui a quasi spoglia dei vinti patrizj;" ed altre infinite cose a se stesso onorevoli, ad essi ingiuriose. Ma il suo primo pensiero, si era il preparare la guerra. Domandava perciò; che si rifornissero le legioni; ajuti dai popoli e Re alleati; e dalle città del Lazio il fior dei soldati a lui noti, per aver già con essi militato, ed alcuni pochi per fama. Quelli, oltre ciò, che già aveano compiuto il lor tempo, con lusinghe induceva a prolungare i servjgj, e seguirlo. Nè ardiva il Senato, benchè sfavorevole, in veruna cosa di opporsegli: vero è, che al rifornire l'esercito lietamente anch'esso assentiva; perchè, stimando riuscirebbero dispiacevoli gli arruolamenti alla plebe: sperava quindi che a Mario mancati sarebbero ed i mezzi di spinger la guerra, e l'affezione del popolo. Ma fu vana speranza; cotanto infiammata si era la moltitudine di seguitarlo. Invasato ciascuno, volgea nel pensiero la ricca preda con cui tornerebbesi, la vittoria, l'onore, ed altre sì fatte imaginose lusinghe. Ed agitati non poco i lor animi aveva un'orazione di Mario, pronunziata nell'arruolare i soldati: opportunità da esso afferrata, non solo per esortarli, ma per vieppiù travagliare, siccome usava egli, la nobiltà. L'arringa era questa.
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