LXXXVIII.
Metello frattanto, festeggiatissimo, contro la di lui espettativa, in Roma giungeva: avendo egli, insieme col Consolato, perduto anche l'odio della plebe; e in favore tornatole, non men che al Senato. Ma, con somma attività e prudenza, Mario a se stesso parimente e ai nemici badava; investigando i reciproci vantaggi e svantaggi; esplorando dei due Re gli andamenti; antivenendo i loro consigli ed insidie: così niuna licenza a' suoi concedendo, niuna sicurezza agli avversarj lasciava. Spesso perciò nelle marcie attaccati aveva e disfatti i Getuli e Numidi, nell'atto ch'essi predavano i nostri alleati; e non lontano da Cirta, avea disarmato lo stesso Giugurta ed i suoi. Ma vedendo che queste imprese, benchè gloriose, non terminavano la guerra, stabilì d'espugnar le città, che per natura o per arte più forti, riuscivano al nemico più utili, ed a noi più dannose: verrebbe in tal guisa tolto a Giugurta ogni ricovero; o, non volendo egli ciò tollerare, combatterebbe. Bocco per replicati messaggi avea fatto intendere a Metello, che desiderando egli l'amicizia del popolo Romano, nessuna ostilità si temesse da lui. Se Bocco fingesse, per poi improvvisamente piombar più terribile sopra i Romani; o se, per leggerezza d'ingegno, ondeggiante ognora fra la guerra e la pace, così favellasse, è cosa mal nota.
LXXXIX.
Ma il Console, come prefisso erasi, andava assalendo le città e castella meglio guernite; e qual colla forza, qual col timore, quale ancora con le lusinghe e doni, al nemico toglievale.
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