Tutto lieto Asparre si avvia al campo Numida, e con gran sollecitudine il nono dì fa ritorno; e ben addottrinato da Giugurta, riferisce a Bocco: "Esser egli a qualunque volere prontissimo; ma che in Mario da fidarsi non era; più volte già coi Romani duci pattuita e poi rotta la pace. Che, ove Bocco ai proprj interessi davvero pensasse, ed a quei di Giugurta, miglior mezzo ad ottener ferma pace non avea, che di convocare le parti a consiglio, come se trattarla volesse; e quindi, avendo egli poi Silla nelle mani, tosto a Giugurta rimetterlo. Che quando un tant'uomo, non già per viltà, ma pel troppo suo zelo per la Repubblica, venisse a cadere in lor possa, sforzerebbero essi il Senato ed il popolo Romano a venirne a patti per liberarnelo."
CXIII.
Bocco, dopo un lungo ondeggiare in se stesso, prometteva ogni cosa ad Asparre. Se veramente poi irresoluto foss'egli, o il fingesse; nol seppi: che troppe volte la natura dei Re, impetuosa non men che volubile, a volere e disvolere istantaneamente li trae. Bocco adunque, a luogo e tempo convenuto, quasi che della pace trattasse, ora Silla, or Asparre, chiamava a colloquio; ad entrambi cortese, promettendo ad entrambi lo stesso. Lieti del pari ambedue, di speranze pascevansi. Ma, nella notte che preceder doveva l'abboccamento finale, il Re Mauro adunava da prima gli amici a consiglio; e, subitamente poscia cangiatosi, congedavali. Fama è, che seco stesso fantasticasse egli moltissimo prima: sì fattamente i torbidi dubbj dell'animo, nel di lui aspetto colore e contegno scolpiti, il suo silenzio tradivano.
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