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      Poco sollievo ricavò dal riposo e dalla breve villeggiatura, perché appena ritornato a Venezia si ammalò e per parecchi mesi, con alternative di miglioramenti e peggioramenti, senza però trascurare i suoi Diarii. Ma anche in questo tempo soffrì nuove mortificazioni. Proposto a membro della Quarantìa non riuscì, dice, perché volevano farlo ancora dei Pregadi, «ma la fortuna mi è contraria»(294); invece fu proposto, contro la sua volontà a podestà e capitano in Capodistria, «et fui mal tratato»(295), sichè poi rifiutò anche la proposta per savio di Terraferma(296), e non riuscì neppure provveditore alle Biade perché trovavasi ammalato in casa(297).
      Quasi tutto l’anno 1522, «per dispositione dei cieli et per li mei pecati sono stato amalato, infermo et in leto, con non picolo pericolo della vita mia, in mano di vari phisici et cirogici con grandissima spesa»(298). Solo il 2 di marzo del 1523 ritornò in Gran Consiglio, dove da più mesi non era mai stato, e vi ebbe grandissima accoglienza(299).
     
      Per la malattia dalla quale fu colpito, e più per le contrarietà incontrate nelle sue aspirazioni, aveva divisato di abbandonare la vita pubblica e di sospendere anche le sue effemeridi; ma non seppe acconciarsi a tale proponimento.
      Riportiamo le stesse sue parole(300): «... Et volendo poner fine (alla sua storia) per doi rispetti, l’uno perché la età mi carga assai(301), l’altro perché havendomi tanto afatichato, credendo meritar premio, si non di stipendio pubblico, come altri hanno e nulla scrivono(302), almeno di qualche honor ne la mia Patria per mi tanto exaltata et sublimata a eterna memoria, et si non più honorato di quelo che già alcuni anni son stato, almeno non pezorato, come per mia cativa sorte [79] o per malignità di quelli hanno cussì voluto che mi habbi fato cascar di la Zonta, et si può dir a danno loro più presto che mio, perché, zuro a Dio, hessendo in Senato più volte ho parlato et detto la mia opinione ne le materie occorrevano al bene et utile di la mia carissima patria, et le più erano laudate con i loro suffraggi da li senatori, per il che o sia che mi ho concitato odio, vedendomi sì gagliardamente contrariare a quelli governavano il Stato a le loro opinione, con loro e soi parenti che non vogliono esser tochi, o pur sia voluntà de Dio, io fuora dil Senato mi ritrovo.


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I Diarii
di Marino Sanuto
Editore Visentini Venezia
1898 pagine 165

   





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