Ma perché pareva che questo convenisse piú agli uomini di santa et austera vita, che all'autorità de prelati, nacque la terza opinione che le fece in parte assoluzione, per il che se li ricerchi l'autorità, et in parte compensazione. Ma non vivendo li prelati in maniera che potessero dar molto de loro meriti ad altri, si fece un tesoro nella Chiesa pieno de' meriti di tutti quelli che ne hanno abondanza per loro proprii. La dispensazione del quale è commessa al pontefice romano, il quale, dando l'indulgenze, ricompensa il debito del peccatore con assegnare altretanto valor del tesoro. Né qui era il fine delle difficoltà, perché opponendosi che essendo i meriti de' santi finiti e limitati, questo tesoro potrebbe venir a meno, volendolo fare indeficiente, vi aggionsero i meriti di Cristo che sono infiniti: d'onde nacque la difficoltà a che fosse bisogno di gocciole de' meriti d'altri, quando si aveva un pelago infinito di quelli di Cristo. Che fu cagione ad alcuni di fare essere il tesoro delli meriti della Maestà sua solamente.
Queste cose cosí incerte allora e che non avevano altro fondamento che la bolla di Clemente VI fatta per il giubileo del 1350, non parevano bastanti per oppugnar la dottrina di Martino Lutero, risolvere le sue ragioni e convincerlo; perilché Thecel, Ecchio e Prierio, non vedendosi ben forti nelli luoghi proprii di questa materia, si voltarono alli communi e posero per fondamento l'autorità pontificia et il consenso delli dottori scolastici, concludendo che, non potendo il pontefice fallare nelle cose della fede et avendo egli approvata la dottrina de' scolastici e publicando esso le indulgenze a tutti i fedeli, bisognava crederle per articolo di fede.
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