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      Martino con salvocondotto di Massimiliano andò a trovar il legato in Augusta, dove, dopo una conveniente conferenza sopra la materia controversa, scoprendo il cardinale che con termini di teologia scolastica, nella professione della quale era eccellentissimo, non poteva esser convinto Martino, che si valeva sempre della Scrittura divina, la quale da scolastici è pochissimo adoperata, si dichiarò di non voler disputar con lui, ma l'essortò alla retrattazione o almeno a sottometter i suoi libri e dottrina al giudicio del pontefice, mostrandogli il pericolo in che si trovava persistendo e promettendogli dal papa favori e grazie. Al che non essendo risposto da Martino cosa in contrario, pensò che non fosse bene, col molto premere, cavar una negativa, ma interponer tempo, acciò le minaccie e le promesse potessero far impressione, per il che lo licenziò per allora. Fece anco far ufficio in conformità da frate Giovanni Stopiccio, vicario generale dell'ordine eremitano.
      Tornato Martino un'altra volta, ebbe il cardinale con lui colloquio molto longo sopra i capi della sua dottrina, piú ascoltandolo che disputando, per acquistarsi credito nella proposta dell'accommodamento; alla quale quando discese, essortandolo a non lasciar passare un'occasione tanto sicura et utile, li rispose Lutero con la solita efficacia che non si poteva far patto alcuno a pregiudicio del vero, che non aveva offeso alcuno, né aveva bisogno della grazia di qual si voglia, che non temeva minaccie, e quando fosse tentato cosa contra di lui indebita, avrebbe appellato al concilio.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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