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      Perilché non dava altro titolo alla dottrina di Lutero, se non d'insipida, pazza et irragionevole, e giudicava che nissuna persona, se non qualche pochi sciocchi, la credessero, e che il seguito che Martino aveva fosse di persone che in sua conscienzia tenessero per indubitate l'opinioni romane, fingendo altrimenti, irritati dalle oppressioni. E però essere cosa facilissima estinguere quella dottrina, che non era fondata salvo che sopra gl'interessi; onde pensava che col dare qualche sodisfazzione, facilmente si risanarebbe quel corpo, quale piú tosto faceva sembiante d'essere infermo che in verità lo fosse. E per esser egli nativo d'Utrech, città di Germania inferiore, sperava che tutta la nazione dovesse facilmente porger orecchie alle proposte sue et interessarsi anco a sostenere l'autorità sua, come d'uomo germano e per tanto sincero, che non trattasse con arti e per fini occulti. E tenendo per fermo ch'importasse molto l'usare celerità, deliberò far la prima proposizione nella dieta che si preparava a Noremberg: la quale, acciò fosse gratamente udita e le sue promesse fossero stimate reali, inanzi che trattar cosa alcuna con essi loro, pensava necessario dar saggio con principio di reforma, levando li abusi stati causa delle dissensioni. A questo effetto chiamò a Roma Giovanni Pietro Caraffa, arcivescovo di Chieti, e Marcello Cazele gaetano, uomini stimati di bontà e costumi irreprensibili, e molto periti delle cose spettanti alla vera disciplina ecclesiastica, acciò col consiglio loro e delli cardinali piú suoi confidenti trovasse qualche medicina alle piú importanti corrutele: tra quali prima si rappresentava la prodigalità delle indulgenze, per aver ella aperta la via al credito acquistato da' nuovi predicatori in Germania.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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