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      Il pontefice, come teologo che già aveva scritto questa materia prima che mai Lutero pensasse di trattarla, era in parere di stabilire per decreto apostolico e come papa quella dottrina che, come privato, aveva insegnata e scritta: cioè che, concessa indulgenza a chi farà una tal pia opera, è possibile che da alcuno l'opera sia esseguita in tanta perfezzione che conseguisca l'indulgenza; se però l'opera manca di quella essattezza, l'operante non ottiene quella indulgenza tutta, ma solo tanta parte che a proporzione corrisponda all'opera imperfetta. Riputava il pontefice che in questa maniera non solo fosse proveduto per l'avvenire ad ogni scandalo, ma anco rimediato alli passati; poiché potendo ogni minima opera essere cosí ben qualificata di circostanze che meriti ogni gran premio, restava risoluta l'obiezzione fatta da Lutero, come per l'oblazione d'un danaro s'acquistasse un tanto tesoro; e poiché per difetto dell'opera, chi non guadagna tutta l'indulgenza, ne ottiene però una parte proporzionata, non si ritiravano i fedeli dal cercare l'indulgenze.
     
     
      [Il papa è dissuaso dal cardinal Gaetano]
     
      Ma frate Tomaso da Gaeta, cardinale di San Sisto, teologo consumato, lo dissuadeva, dicendogli che ciò era un publicare quella verità, la quale per salute delle anime era meglio ritenere secreta appresso gli uomini dotti e ch'era piú tosto disputabile che decisa. Perilché anco esso, qual vivamente in conscienza la sentiva, nello scrivere però l'aveva in tal maniera portata che solo gli uomini consumatissimi potevano dalle sue parole cavarla.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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