Perilché quel libello defende la causa sua e del suo regno da tutti i tentativi che si potessero fare o da Paolo overo da qualonque altro pontefice romano, e però l'ha voluto confermare con quella epistola, che facilmente lo doverà iscusare perché non sia piú per andar a Vicenza di quello che non era per andare a Mantova, quantonque non vi sia chi piú desideri una publica convocazione de' cristiani, purché sia concilio generale, libero e pio, quale ha figurato nella protesta contra il concilio di Mantova. E sí come nissuna cosa è piú santa che una generale convocazione di cristiani, cosí nissuno può apportare maggiore pregiudicio e pernicie alla religione che un concilio abusato per guadagni, per utilità, o per confermar errori. Concilio generale chiamarsi, perché tutti i cristiani possano dire il suo parere: né potersi dire generale dove siano uditi solamente quelli che averanno determinato di tener sempre, in tutte le cose, le parti del pontefice e dove l'istessi siano attori, rei, avvocati e giudici. Potersi replicare sopra Vicenza tutte le medesime cose che si sono dette nell'altro suo libello di Mantova. E replicato con brevità un succinto contenuto di quello, seguí dicendo: se Federico, duca di Mantova, non ha deferito all'autorità del pontefice in concedergli la sua città in quel modo che egli la voleva, che raggione vi è che noi debbiamo tanto stimarla in andar dove gli piace? Se ha il pontefice potestà da Dio di chiamar i prencipi dove vuole, perché non l'ha di eleggere qual luogo gli piace e farsi ubedire?
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