Perilché non è d'abusar piú la clemenzia del pontefice, concludendo in una dieta imperiale quello che tocca al papa et alla Chiesa universale; ma mandare il libro e tutta l'azzione del colloquio, insieme co' pareri d'una parte e d'altra a Roma, et aspettar dalla Santità Sua la deliberazione. E non sodisfatto di questo, publicò una terza scrittura, la quale conteneva che, essendo stata data varia interpretazione alla scrittura sua, data alla Maestà Sua Cesarea, sopra il trattato del colloquio, interpretandola alcuni come se avesse consentito che si dovessero osservare sino al concilio generale gli articoli concordati, et intendendo altri che egli avesse rimesso al pontefice e quelli e tutte le altre cose, acciò in questa parte non restasse alcuna dubitazione, dichiara non aver avuto intenzione con la scrittura decidere alcuna cosa in questo negozio, né che alcun articolo fosse ricevuto o tolerato sino al futuro concilio, e che meno allora lo decideva o diffiniva, ma che ha rimesso al sommo pontefice tutto 'l trattato, e tutti gli articoli di quello, sí come ancora gli rimetteva: il che avendo dichiarato alla Cesarea Maestà in voce, voleva anco dichiararlo e confirmarlo a tutto 'l mondo con scrittura.
E non contento di questo, ma considerando che il voto de tutti i prencipi catolici, eziandio delli ecclesiastici, concordava in domandar concilio nazionale, e che nell'instruzzione sua aveva avuta strettissima commissione dal pontefice di opponersi quando di ciò si trattasse, se ben lo volessero fare con autorità pontificia e con presenza de legati apostolici, e che mostrasse quanto sarebbe in pernicie delle anime e con ingiuria dell'autorità pontificia, alla quale venirebbe levata la potestà, che Dio gli ha data, per concederla ad una nazione, che raccordasse all'imperatore quanto egli medesimo avesse detestato il concilio nazionale, essendo in Bologna, conoscendolo pernicioso all'autorità imperiale; poiché i sudditi, preso animo dal vedersi concessa potestà di mutare le cose della religione, pensarebbono anco a mutare lo Stato, e che Sua Maestà, dopo il 1532, non volse mai piú celebrar in sua presenza dieta imperiale per non dar occasione di domandar concilio nazionale; fece il cardinale diligentissimamente l'ufficio con Cesare e con ciascuno de' prencipi, et oltre ciò publicò una altra scrittura indrizzata a' catolici, in quella dicendo: aver considerato diligentemente di quanto pregiudicio fosse se le controversie della fede si rimettessero al concilio d'una nazione, et aver giudicato esser ufficio suo di ammonirgli che onninamente dovessero levar via quella clausula, essendo cosa manifestissima che nel concilio nazionale non si ponno determinare le controversie della fede, concernendo questo lo stato universale della Chiesa, e se alcuna cosa fosse determinata in quello, sarebbe nulla, irrita e vana; il che, se essi avessero levato, come egli si persuadeva, sí come sarebbe gratissimo alla Santità del pontefice, che è capo della Chiesa e de tutti i concilii, cosí non lo facendo, gli sarebbe molestissimo; essendo cosa chiara che in questo modo sarebbono per nascere maggiori sedizioni nelle controversie della religione, cosí nelle altre nazioni, come in quella nobilissima provincia; che non aveva voluto tralasciare questo ufficio per obedire all'instruzzione di Sua Santità e per non mancare al carico della legazione impostagli.
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