Et a 25 d'agosto scrisse una grande e longa lettera all'imperatore, il tenor della quale in sostanza fu: che avendo inteso che decreti erano stati fatti in Spira, per l'ufficio e carità paterna non poteva restare di dirgli il suo senso, per non immitare l'essempio di Elí sacerdote, gravemente punito da Dio per l'indulgenza usata verso i figliuoli. I decreti fatti in Spira essere con pericolo dell'anima di esso Cesare et estrema perturbazione della Chiesa; non dovere lui partirsi dalli ordeni cristiani, i quali, quando si tratta della religione, commandano che tutto debbia essere riferito alla Chiesa romana, e con tutto ciò, senza tenere conto del pontefice, il qual solo per legge divina et umana ha autorità di congregare concilii e decretare sopra le cose sacre, abbia voluto pensare di far concilio generale o nazionale; aggionto a questo, che abbia concesso ad idioti et eretici giudicare della religione; che abbia fatto decreti sopra i beni sacri e restituito agli onori i ribelli della Chiesa, condannati anco per proprii editti; volere credere che queste cose non sono nate da spontanea volontà di esso Cesare, ma da pernicioso conseglio de malevoli alla Chiesa romana, e di questo dolersi, che abbia condesceso a loro; essere piena la Scrittura d'essempii dell'ira di Dio contra gli usurpatori dell'ufficio del sommo sacerdote, di Oza, di Datan, Abiron e Core, del re Ozia e d'altri. Né essere sufficiente scusa dire che i decreti siano temporarii sino al concilio solamente; perché, se bene la cosa fatta fosse pia, per raggione della persona che l'ha fatta, non gli toccando, è empia.
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