I legati, incerti ancora qual dovesse esser il modo di trattare, facevano dimostrazione di dovere giontamente procedere con l'ambasciatore e prelati, e di communicare loro l'intiero de' pensieri: onde all'arrivo delle lettere da Roma o di Germania convocavano tutti per leggerle. Ma avvedendosi che don Diego si parteggiava a loro et i vescovi si presumevano piú del costumato a Roma, e temendo che, accresciuto il numero, non nascesse qualche inconveniente, avisarono a Roma, consegliando che ogni spacio gli fosse scritto una lettera da potere mostrare, e le cose secrete a parte, perché delle lettere sino a quel tempo ricevute gli era convenuto servirsi con ingegno. Dimandarono anco una cifra per poter communicare le cose di maggior momento. Le qual particolarità, insieme con molte altre che si diranno, avendole tratte dal registro delle lettere del cardinale del Monte e servendo molto per penetrare l'intimo delle trattazioni, non ho voluto tacerle.
Essendo già passato il mese di marzo e spirato di tanti giorni il prefisso nella bolla del papa per dar principio al concilio, i legati consegliandosi tra loro sopra l'aprirlo, risolsero d'aspettar aviso da Fabio Mignanello, noncio appresso Ferdinando, di quello che in Vormazia si trattava, et anco ordine da Roma, dopo che il papa avesse inteso la venuta et esposizione di don Diego; massime che gli pareva vergogna dar un tanto principio con tre vescovi solamente. Alli 8 d'aprile gionsero ambasciatori del re de' Romani, per ricevere i quali fu fatta solenne congregazione.
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