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      Trattò anco il cardinale sopra la promessa fatta per nome di Sua Maestà nella proposta mandata alla dieta, cioè che per terminare le discordie della religione, caso che il concilio non facesse progresso, si farebbe un'altra dieta; e gli pose in considerazione che, non restando dalla Santità Sua, né da' suoi legati e ministri, né dalla corte romana che il concilio non si celebri e non faccia progresso, non poteva in alcun modo nel recesso intimare altra dieta sotto questo colore; et inculcò grandissimamente questo ponto, perché ne aveva strettissima commissione da Roma, e perché il cardinale del Monte, uomo molto libero, non solo glie ne fece instanza a bocca, ma anco gli scrisse per nome proprio e de' colleghi dopo che partí da Trento con apertissime parole, che questo era un capo importantissimo, al quale doveva sempre tenere fissa la mira e non se ne scordare in tutta la sua negoziazione, avvertendo ben di non ammettere coperta alcuna, perché questo solo partorirebbe ogni altro buon appontamento. E che quanto a lui, raccordarebbe a Sua Beatitudine che elegesse piú presto d'abandonare la Sede e rendere a san Pietro le chiavi, che comportare che la potestà secolare arrogasse a sé l'autorità di terminare le cause della religione, con pretesto e colore che l'ecclesiastico avesse mancato del debito suo nel celebrar concilio, o in altro.
      Intorno al tentativo del vicerè, disse l'imperatore che il motivo non veniva da altronde che da proprio e spontaneo moto, e che quando non avesse avuto urgente raggione si sarebbe rimosso.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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