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      Sosteneva egli poter l'uomo con le forze della natura osservare ogni precetto della legge quanto alla sustanza dell'opera, se ben non quanto al fine, e questo tanto esser a bastanza per evitar il peccato; diceva essere tre sorti d'opere umane, una la transgressione della legge, che è peccato; l'altra l'osservazione d'essa per fine di carità, e questa essere meritoria et a Dio grata; la terza intermedia, quando la legge è ubedita quanto alla sostanza del precetto, e questa è opera buona morale e nel suo genere perfetta e che accomplisce la legge e fa ogni opera moralmente buona cosí schivando ogni peccato. Moderava però quella tanta perfezzione della nostra natura con aggiongere che altro fosse guardarsi da qualonque peccato, che da tutti i peccati insieme, dicendo che può l'uomo da qualonque guardarsi, ma non da tutti, con l'essempio di chi avesse un vaso con tre forami, che avendo due mani solo non può otturargli tutti, ma ben qualonque d'essi vorrà, restandone per necessità uno aperto. Questa dottrina ad alcuni de' padri non sodisfaceva; perché, quantonque demostrasse chiaro che tutte le opere non sono peccati, non salvava però intieramente il libero arbitrio, seguendo per consequenza necessaria che non sarà libero al schivare tutti i peccati. Ma dando titolo di buone a queste opere, il Soto si vedeva angustiato a determinare se erano preparatorie alla giustificazione; gli pareva il sí, considerando la bontà d'esse; gli pareva di no, attendendo la dottrina d'Agostino, approvata da san Tomaso e da' buoni teologi, che il primo principio della salute è dalla vocazione divina.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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