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      Da queste angustie sfuggí con una distinzione: che erano preparatorie di lontanissimo, non di vicino, quasi che, dando una preparazione di lontano alle forze della natura, non si levi il primo principio alla grazia di Dio.
      I francescani non solo tal sorte d'opere volevano che fossero buone e che preparassero alla giustificazione veramente e propriamente, ma ancora che fossero in modo proprio meritorie appresso la Maestà divina, perché Scoto, autore della loro dottrina, inventò una sorte di merito, che attribuí alle opere fatte per forza della sola natura, dicendo che de congruo meritano la grazia per certa legge et infallibilmente, e che per sola virtú naturale l'uomo può aver un dolor del peccato, che sia disposizione e merito de congruo per scancellarlo; approvando un volgato detto de' tempi suoi, che Dio non manca mai a chi fa quello dove le sue forze s'estendono. Et alcuni di quell'ordine, passando questi termini, aggiongevano che se Dio non dasse la grazia a chi fa quello che può secondo le sue forze, sarebbe ingiusto, iniquo, parziale et accettator di persone. Con molto stomaco et indignazione esclamavano che sarebbe grand'assordità se Dio non facesse differenza da uno che vive naturalmente con onestà ad uno immerso in ogni vizio, e non vi sarebbe raggione perché dasse la grazia piú ad uno che all'altro. Adducevano che san Tomaso anco fosse stato di questa opinione, e che altrimente dicendo, si metteva l'uomo in disperazione e si faceva negligente a ben operare, e si dava a' perversi modo di scusar le loro male opere et attribuirle al mancamento dell'aiuto divino.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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