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      E però i teologi hanno aggionta una grazia abituale, donata a ciascun giusto la sua, la quale è una qualità spirituale creata da Dio et infusa nell'anima, per la quale vien fatta grata et accetta alla divina maestà, della quale se ben non si trova espressa parola ne' padri e meno nella Scrittura, nondimeno si deduce chiaramente dal verbo "giustificare"; il qual essendo effettivo, per necessità significa fare giusto con impressione di reale giustizia; la qual realtà non potendo esser sostanza, non può esser altro che qualità et abito.
      Et in questa occasione fu trattato longamente contra li luterani che non vogliono il verbo giustificare esser effettivo, ma giudiciale e declarativo, fondandosi sopra la voce ebrea "tzadac" e sopra la greca dicaioun, che significano "pronunciare giusto", e per molti luoghi della Scrittura del Nuovo e Vecchio Testamento, che anco nella tradizzione latina è usata in tal significazione, e se ne allegava sino 15. Ma il Soto escludeva tutti quelli di san Paolo che parlano della nostra giustificazione, et in quelli diceva non potersi intendere, se non in significazione effettiva; di che nacque gran disputa tra lui et il Marinaro, al quale non piaceva che si fondasse in cosa cosí leggiera; ma diceva l'articolo della grazia abituale, non poter ricevere dubio, come deciso nel concilio di Vienna e sentenzia commune di tutti i teologi; e questo esser un far sodi fondamenti che non possono esser destrutti, e non voler dir che san Paolo, A' Romani, quando dice che Dio giustifica, non intenda in senso declarativo, contra il testo manifesto che mette un processo giudiciale, dicendo che nissun potrà accusar né condannar gli eletti da Dio, essendo Dio che gli giustifica; dove i verbi giudiciali "accusare" e "condannar" mostrano che il giustificar sia voce di foro parimente.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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