Nacque tra loro una gran disputa se il credere e non credere sia in potestà umana. I francescani lo negavano, seguendo Scoto, qual vuol che, sí come dalle dimostrazioni per necessità nasce la scienza, cosí dalle persuasioni nasca per necessità la fede, e che essa è nell'intelletto, il quale è agente naturale e mosso naturalmente dall'oggetto. Allegavano l'isperienza che nissun può credere quello che vuol, ma quello che gli par vero, soggiongendo che nissun mai sentirebbe il dispiacere, se potesse credere di non averlo. I dominicani dicevano che niente è piú in potestà della volontà che il credere, e per sola determinazione e risoluzione della volontà l'uomo può credere che il numero delle stelle sia pari, se cosí vorrà.
Sopra il terzo articolo, se per il peccato il libero arbitrio si perdette, essendo addotte molte e molte autorità di sant'Agostino che espressamente lo dicono, né potendosi in altra maniera sfugire, il Soto inventò il modo con dire che la vera libertà è equivoca, potendo derivare overo dal nome libero, overo dal verbo liberare; che nel primo senso s'oppone alla necessità e nel secondo s'oppone alla servitú, e che quando disse sant'Agostino che il libero arbitrio è perduto, non altro volse inferire se non che è fatto servo del peccato e del diavolo; differenza che non fu penetrata, perché anzi per ciò il servo non è libero, perché non può fare la volontà sua, ma è costretto di seguire quella del padrone, e, secondo quel suo parere, non si poteva biasmare Lutero d'aver intitolato un libro De servo arbitrio.
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