In questo, venendo all'articolo della certezza della grazia, disse in longo discorso la sinodo aver dicchiarato che l'uomo non può sapere d'avere la grazia con tanta certezza, quanta è quella della fede, siché ogni dubitazione sia esclusa. Il Catarino, fatto nuovamente vescovo de Minori, che aveva difeso il contrario e tuttavia perseverava nell'opinione sua, stampò un libretto con dedicatoria alla medesima sinodo, lo scopo del quale era dire e defendere che il concilio non intese di condannare l'opinione di chi asseriva il giusto poter credere d'aver la grazia tanto certamente, quanto ha per certi gli articoli della fede; anzi il concilio aver deciso che è tenuto a crederlo, quando nel canone 26 ha dannato chi dice che il giusto non debbe sperar et aspettare la mercede, essendo ben necessario che chi debbe sperare, come giusto, sappia d'essere tale. In questa contrarietà d'opinioni, non solo ambidoi affermativamente scrivendo al concilio dissero ciascuno che la sua sentenzia era quella della sinodo, ma dopo scrissero anco e stamparono apologie et antipologie, querelando l'un l'altro alla sinodo che gli imponesse quello che ella non aveva detto, et inducendo diversi de' padri testimonii per comprobare la propria openione: quali anco testificavano, chi per uno, chi per l'altro, sí che i padri erano divisi in due parti, eccetto alcuni buoni prelati che, come neutrali, dicevano non aver ben intesa la differenza, ma prestato il consenso al decreto nella forma promulgata, perché ambe le parti erano convenute.
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Catarino Minori
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