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      Nel dir i voti sopra questi capi, molti fecero instanza che si aggiongesse che all'avvenire dispense non fossero concesse. Et a pochi piacque il mostrare le già concedute e proceder secondo il decreto d'Innocenzio, dicendo che era un farle approvare tutte e far il mal maggiore, attese le condizioni poste da Innocenzio, dove dice che, trovate le dispense buone, siano admesse e, se vi sarà dubio, s'abbia ricorso a Roma; non potendosi dubitare che ogni negozio almeno non si risolvesse in dubio, il quale avesse a Roma dicchiarazione conforme alla concessione. Che mentre passavano cosí, le persone stavano con timor della provisione, quando fossero essaminate; et approbate, che tutte sarebbono senza dubio, l'abuso sarebbe confermato. Molti erano di parere che si vietassero afatto le dispense, repugnando altri con la raggione che la dispensa è stata sempre nella Chiesa et è necessaria: il tutto sta in ben usarla.
      Marco Vigerio, vescovo di Sinigaglia, uscí con una opinione che, se fosse stata ricevuta e creduta, averebbe facilmente riformato tutto l'ordine clericale. Diceva egli potersi ad ogni inconveniente rimediare dalla sinodo con far una dicchiarazione che per la dispensa sia necessaria una legitima causa, e chi senza quella la concede, pecca e non può esser assoluto se non revocandola, e chi l'ottiene non è sicuro in conscienza, se ben ha la dispensa, e sempre sta in peccato, sin che non depone i beneficii cosí ottenuti. Ebbe l'opinione contradittori; perché si levarono alcuni con dire che chi concede licenza di pluralità senza causa legitima, pecca, ma però la dispensa vale, e chi l'ottiene è sicuro in conscienza, se ben conscio dell'illegitimità della causa.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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