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      In principio di febraro arrivò da Roma la risposta e la bolla ponteficia, che fu da' legati stimata troppo ampla; pur tuttavia, per tentare di valersene, proposero di nuovo la materia, facendo replicare da' suoi la medesima sentenzia che, attese le difficoltà e diverse opinioni, era bene liberarsi e rimetter il tutto al pontefice. Gli imperiali, anco quelli medesimi che per il passato non si erano mostrati alieni, replicarono gagliardamente, dicendo che non sarebbe stato onor del concilio; et a questo parere s'accostò la maggior parte, ritornando su le medesime cose dette, anzi confondendo le cose sempre piú; sí che viddero i legati non esser occasione di valersi della bolla mandata e scrissero non potersi sperare che fosse rimessa tutta la riforma a Sua Santità, ma ben avevano per fattibile dividerla, sí che il pontefice facesse quella parte, che è piú propria a lui, come sarebbe la moderazione delle dispense e de' privilegi, aggiongendovi la riformazione de' cardinali; il che quando Sua Santità si risolvesse di fare, sarebbe ben valersi della prevenzione, publicando in Roma una bolla sotto nome di riformazione della corte. Perché nissun potrebbe dire che il papa non potesse riformare da sé la corte sua e quello che tocca a lui: la qual bolla non sarebbe necessaria publicare in concilio, et alla sinodo si potrebbe, avendo da trattar il rimanente che alla corte non tocca, dare ogni sodisfazione; avertendo però la Santità Sua che il concilio non si quietarà mai per sola provisione all'avvenire, ma ricercherà sempre che si proveda alle concessioni scandalose anco presenti.


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Istoria del Concilio Tridentino
di Paolo Sarpi
pagine 1561

   





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